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Respinta l’istanza avanzata dai nonni. Decisiva la constatazione della loro difficoltà a comprendere le esigenze della nipote
Niente collocazione a casa dei nonni se non in grado, in concreto, di comprendere e soddisfare le esigenze psico-fisiche e terapeutiche della nipote, nonostante con quest’ultima vi sia un legame forte.
Questa la posizione assunta dai giudici (ordinanza numero 22861 del 14 agosto 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame la delicata vicenda relativa al destino di una minorenne, affidata ai ‘Servizi sociali’ e poi inserita, in una prospettiva di lunga durata, presso una famiglia affidataria.
A fronte della richiesta dei nonni ad accogliere a casa la nipote, i giudici rispondono negativamente, chiarendo che, nell'ambito dei procedimenti di adottabilità e affidamento dei minori, la valutazione dell'idoneità dei parenti (come, ad esempio, i nonni) a svolgere una funzione vicariante deve basarsi non solo sulla loro disponibilità o sul legame affettivo preesistente coi minori, ma soprattutto sulla loro effettiva capacità di comprendere e soddisfare le specifiche esigenze psico-fisiche e terapeutiche dei minori. In questa ottica, l'accertamento di tale idoneità richiede un'analisi approfondita e attuale, che può includere una valutazione peritale, e deve considerare la complessità della situazione familiare e clinica dei minori coinvolti.
Confermata, quindi, la collocazione extrafamiliare della minore nonostante la disponibilità non solo dei nonni paterni, che avevano, peraltro, con lei una relazione significativa. Decisivo il riferimento alla valutazione, all’attualità, della complessiva adeguatezza dei nonni paterni a svolgere la funzione vicariante. Nello specifico, è emersa, all’esito di accertamento peritale finalizzato alla verifica delle capacità dei nonni, una inidoneità non in relazione al modello familiare adottato o alla loro indisponibilità ad accogliere la minore, ma alla effettiva comprensione della gravità della condizione psico-fisica della minore e degli interventi terapeutici ed accuditivi per lei necessari.
La cassazione torna a pronunciarsi sulla liquidazione del danno biologico nel caso in cui il danneggiato muoia durante il processo, per causa non ricollegabile all'evento dannoso
Nel caso preso in esame, Tizio si presenta al pronto soccorso per una sincope, ma viene dimesso. Durante una visita successiva, perde conoscenza nuovamente e, dopo essere stato di nuovo dimesso, cade su una scala mobile interna all'uscita della clinica, riportando gravi lesioni al rachide cervicale che lo rendono invalido al 90%. Rimane immobilizzato a letto per otto anni fino al decesso.
In seguito alla tragedia, Tizio intenta un'azione legale contro la struttura ospedaliera e i medici per ricevere un risarcimento del danno, ma purtroppo muore durante il processo. L'azione legale viene quindi portata avanti dall'erede o dalla moglie del defunto.
La Corte Suprema ha esaminato diverse questioni cruciali riguardanti il caso:
1) Come calcolare il risarcimento del danno biologico in caso di morte del danneggiato: basandosi sulla durata prevista della vita o sull'effettivo periodo vissuto?
2) Il danno da invalidità temporanea è compreso nel risarcimento del danno biologico con premorienza?
3) Il danno morale soggettivo costituisce una duplicazione del risarcimento?
4) Come dimostrare il rimborso delle spese mediche future e in caso di premorienza?
La Corte di Cassazione ha chiarito che il risarcimento del danno biologico, in caso di morte del danneggiato, deve essere calcolato proporzionalmente alla durata effettiva della vita vissuta e non sulla base di stime statistiche o tabellari. Inoltre, il danno da invalidità temporanea deve essere liquidato separatamente dal danno per premorienza.
Il danno morale soggettivo è ritenuto una voce di danno autonoma e non rappresenta una duplicazione del risarcimento del danno biologico. Deve essere valutato e liquidato separatamente, senza essere considerato una duplicazione illecita del danno biologico.
Per quanto riguarda il rimborso delle spese mediche future, poi, queste devono essere provate tramite preventivi o stime effettuate da un consulente tecnico d'ufficio al momento della domanda, anche in caso di premorienza del danneggiato.
In caso di morte del danneggiato durante il processo, l'erede subentrante non è tenuto a fornire ulteriori prove se il danneggiato aveva già dimostrato l'esigenza e il costo delle spese mediche future necessarie in precedenza. La regola probatoria rimane la stessa al momento della domanda, e l'erede non deve fornire una prova diversa se il dante causa ha già dimostrato quanto necessario.
La cassazione ha confermato il provvedimento di adozione della bambina a causa delle carenze della donna come genitore
Ricostruita la vicenda, i giudici di merito ritengono necessario dare la piccola in adozione a fronte delle grandi lacune genitoriali della madre e dello stato di abbandono della bambina.
Decisive risultano l’attualità e la non recuperabilità dello stato psicopatologico della donna, affetta da psicosi epilettica con gravi disturbi del comportamento, con riconoscimento di invalidità totale e permanente inabilità lavorativa al 100%.
La donna ha provato la strada del ricorso in Cassazione ma le speranze sono risultate vane. Impossibile, difatti, secondo i Supremi Giudici ipotizzare un possibile recupero della donna nella sua qualità genitoriale.
A questo proposito la sentenza precisa che «nel corso degli anni sono stati attuati numerosi interventi e sono state promosse tutte le azioni necessarie ed opportune per il benessere psico-fisico della minore, tra cui anche l’affidamento extrafamiliare, nonché interventi di sostegno alla genitorialità», e ancora che «sono stati effettuati, da parte di tutti gli operatori coinvolti, innumerevoli tentativi di intervento, sostegno e supporto, e più volte sono stati richiesti dai ‘Servizi sociali’ e dal Tribunale accertamenti a cui, però, la donna si è sempre sottratta, non presentandosi al ‘Centro di salute mentale’ o non proseguendo con i percorsi di sostegno alla genitorialità appena iniziati».
In altre parole, «tutti i tentativi effettuati nel corso del tempo, volti al recupero e alla formazione delle capacità genitoriali della donna» sono andati a vuoto, anche a causa della «persistente negazione», da parte sua, «della patologia» che l’affligge da tempo.
Di conseguenza, «proprio in considerazione dell’interesse superiore della minore, deve essere dichiarato lo stato di adottabilità, stante la incapacità genitoriale» della madre.
In conclusione, quindi, «i dati incrociati dei colloqui e dei test somministrati mettono in luce un comportamento complessivamente disfunzionale e lacunoso, non adeguato alle esigenze psico-evolutive della figlia».
A fronte della accertata totale inidoneità della donna come madre, non resta che optare per l’adozione per salvaguardare la bambina e garantirle uno sviluppo psico-fisico adeguato (Cass. civ., sez. I, ord., 17 giugno 2024, n. 16716).
La Cassazione ribadisce che il genitore deve necessariamente partecipare ai procedimenti relativi alla limitazione o ablazione della responsabilità genitoriale
Una madre ha aggredito l’ex compagno e la sua nuova compagna, accoltellando la donna. Il Tribunale ha quindi deciso per la figlia minore della coppia l’affidamento c.d. superesclsivo al padre e a sospensione della madre dal diritto di visita in quanto sottoposta a custodia cautelare ai domiciliari.
La madre ha provato a proporre reclamo, ma inutilmente. La questione è dunque giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.
Nello specifico, la madre si è lamentata per la parte in cui i giudici di merito hanno escluso il suo interesse ad impugnare il provvedimento di affido della figlia al padre solo perché con un precedente provvedimento del Tribunale era stata sospesa, in via provvisoria, dalla responsabilità genitoriale.
Sul punto, la Cassazione ricorda che nei processi aventi ad oggetto la limitazione o l’ablazione della responsabilità genitoriale, il genitore deve partecipare necessariamente, essendo munito del «pieno potere di agire, contraddire e impugnare le decisioni che producano effetti provvisori o definitivi sulla titolarità o sull'esercizio della detta responsabilità».
Nel caso di specie, dagli atti non emerge se il provvedimento emesso dal Tribunale per sospendere la ricorrente dalla responsabilità genitoriale sia stato effettivamente comunicato alla donna, come la stessa afferma.
Di conseguenza, ha errato la Corte d’appello a ritenere che la madre non fosse legittimata ad impugnare l’affidamento superesclusivo al padre posto che non era dimostrata, in quel momento, l’assenza dello status di genitore.
Risolti così i risvolti processuali, la Corte non può però ribaltare la decisione di merito come richiesto dalla donna. La situazione su cui si è fondata la decisione del Tribunale dei Minorenni è chiara, soprattutto in relazione all'applicazione della misura cautelare penale degli arresti domiciliari nei confronti della madre.
In tal senso, il Tribunale ha correttamente osservato il superiore interesse del minore che ha sempre la precedenza (Cass. civ., sez. I, ord., 30 maggio 2024, n. 15154)
Anche in caso di adozione c.d. piena, il giudice può valutare in concreto il preminente interesse del minore a mantenere relazioni socio-affettive con il nucleo parentale della famiglia di origine
A seguito di un femminicidio, la Corte d’Appello di Milano dichiarava lo stato di adottabilità dei due figli minori della coppia.
Veniva infatti accertata l’inidoneità genitoriale del padre e di tutte le figure vicariali del nucleo familiare.
I Giudici hanno comunque ritenuto opportuno conservare i rapporti tra i minori e i prozii paterni, nonché con la nonna materna, secondo quanto stabilito dai Servizi territoriali, a fronte della sussistenza di una relazione affettiva significativa che avrebbe aiutare i piccoli nell’elaborazione del trauma subito a causa della morte della madre per mano del padre.
La Procura Generale di Milano ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi per la violazione della legge n. 184/1983 in quanto la Corte di appello avrebbe errato nel legittimare la conservazione di legami con la famiglia di origine.
Sulla questione del trattamento degli orfani di femminicidio, è intervenuta solo l’anno scorso la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 183/2023 ha osservato che dalla lettura della legge n. 184/1983, in una prospettiva costituzionale di tutela del minore e della sua identità, il giudice può accertare che la prosecuzione di significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia di origine, realizzi il migliore interesse del minore. Al contrario, la loro interruzione potrebbe cagionare invece al minore un pregiudizio.
Seguendo tale interpretazione, la Cassazione riconosce la possibilità per il giudice, anche in caso di adozione piena o legittimante, di «valutare in concreto il preminente interesse del minore a mantenere relazioni socio affettive con il nucleo parentale della famiglia di origine, attenendo la necessaria ed inderogabile recisione dei rapporti parentali, esclusivamente al piano delle relazioni giuridico formali» (Cass. civ., sez. I, ord., 6 maggio 2024, n. 12233).
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